|
|
|
![]() |
|
La Bibbia inglese del 1611
|
|
La santità come fatto sociale - Un caso di nazionalismo religioso - Evoluzione di una parola - Santi e patroni di santi |
Nell'ormai lontano 1965,
provenendo da Harvard, un nuovo lavoro di ricerca venne ad aggiungersi alla
fitta letteratura sull'Inghilterra puritana e sulla rivoluzione inglese del
1640-1660. Mi riferisco a La Rivoluzione dei Santi di Michael Walzer,
libro non convenzionale di un autore poco ortodosso, e destinato ad alimentare
ancora la già vetusta controversia sul carattere innovativo o meno dell'etica
protestante, e di quella variegata variante del Calvinismo che va sotto il nome
di 'Puritanesimo'. Nella cultura anglosassone, se quasi tutti furono disposti a
criticare la 'rivoluzione' che stava nel titolo del libro di Walzer, pochi
trovarono da obiettare alla seconda definizione, quella dei 'Santi'. Al lettore
italiano, cresciuto in un clima culturale generalmente cattolico, accadeva il
contrario: chiarissimo il concetto di rivoluzione, ma oscuro l'impiego
dell'appellativo 'Santi' per indicare i puritani radicali. Si richiedeva uno
sforzo di natura intellettuale per comprendere che cosa esattamente fosse un
'Santo' nell'Inghilterra protestante dei Tudor e degli Stuart. Ma chiunque
conosca appena i problemi di quel periodo riconoscerà immediatamente che la
parola Saint insieme con saintly, sainthood e ai loro
omologhi sassoni godly, godliness, holy e simili
costituisce forse l'appellativo più comune nella letteratura puritana, e
certamente uno dei termini che più frequentemente ricorrono nei decenni
rivoluzionari del Seicento e nel nord America delle origini.
La santità come fatto sociale
In un paese protestante il senso e le implicazioni consce e
inconsce di queste parole sono diverse che in area cattolica. Ma l'evoluzione
tutta particolare del puritanesimo inglese è tale che la nozione di 'santità'
(Sainthood o Holiness) può diventare un'utile pietra di paragone
per misurare la funzione sociale del sentimento religioso. Parecchi studi
italiani e francesi, di recente, hanno insistito sul processo di 'creazione'
delle figure di santi patroni nei paesi cattolici, per impulso ora di ordini
monastici in competizione di prestigio, ora di famiglie nobili in cerca di
legittimazione sociale, ora per la spinta popolare animata da una ingenua
devozione. Numerosissime le ricerche; tra le più eloquenti, quelle di Sara
Cabibbo e Marilena Modica su Suor Crocifissa, quelle di Sofia Boesch Gajano, di
Novi Chavarria. Due convegni palermitani su San Benedetto il Moro hanno fatto
luce su quanto dura potesse essere la lotta religiosa e ideologica per
assicurarsi il patrono della città, con conflitti tra fazioni e scontri
popolari. San Benedetto, un santo popolare caratterizzato dall'essere appunto un
Moro, cioè un
![]() |
|
Carlo I Stuart, il re decapitato
|
Un caso di nazionalismo
religioso La Chiesa d'Inghilterra costituisce un caso a sé
stante. Dalla sua nascita per atto di iniziativa regia, la Chiesa d'Inghilterra
scelse di costruire se stessa sulla propria tradizione medievale, che ovviamente
abbondava di santi ed anche di miracoli. Le fondamenta di tali credenze
affondavano nel tempo, risalendo attraverso Wyclif al Venerabile Beda, fino ai
missionari inviati nel sesto secolo da Gregorio Magno. Lo stesso Beda è
corresponsabile della storia favolosa di una precoce conversione della Britannia
addirittura fin dal tempo degli apostoli, ad opera di Giuseppe di Arimatea e del
leggendario re Lucio. Una leggenda popolare raccontava che lo stesso Gesù, da
bambino, era stato portato a visitare le "Isole dello stagno" da Giuseppe di
Arimatea. A Glastonbury, nel Devon, si mostra ancor oggi l'albero di spino che
fiorisce a Natale, e che sarebbe nato da una spina della corona di Cristo. Non
si sentiva, insomma, il bisogno di abbattere l'intero edificio ecclesiastico,
come si stava facendo in Svizzera e in Germania o come più tardi si fece in
Scozia; né certamente era questa l'intenzione di Enrico VIII. Al sovrano faceva
comodo politicamente sostenere l'antichità della Chiesa d'Inghilterra: se questa
era una sorella, piuttosto che una figlia, di Roma, il suo distacco dal Papato
romano era del tutto legittimo. Più tardi, dobbiamo al genio politico di
Elisabetta e dei suoi vescovi la costruzione di un edificio ecclesiastico
indipendente quanto bastava per essere credibile, e obbediente alla corona
quanto era necessario per fungere da flessibile strumento di governo.
Uno dei
primi propagandisti della riforma inglese fu John Bale (latinamente Baleus),
tanto raffinato come latinista quanto fanatico come riformatore, a lungo esule
in Francia e in Svizzera, dove poteva far stampare al sicuro i suoi libri. Dopo
la soppressione e la rapina dei monasteri ad opera di Enrico VIII, Bale
approfittò della rovina delle biblioteche monastiche per raccogliere quanto più
poteva di manoscritti e di documenti. Questi materiali confluirono nei suoi
scritti polemici, e fu grazie a lui che alcuni rari testi medievali trovarono la
loro prima edizione. Presto Bale si assunse il compito di compilare una
bibliografia generale degli scrittori "sassoni", sul modello della
Bibliotheca di Gesner. Il frutto finale di questa fatica, il monumentale
Catalogus Magnae Brytannie Scriptorum (1557 e 1559) è una
reinterpretazione dell'intera storia umana in chiave apocalittica-gioachimita,
basata sulle sette età della chiesa, rapportate ai sette sigilli
dell'Apocalisse. Ciò che ci importa qui, però, è che nella ricerca del filone
"spirituale" da contrapporre alla "corruzione" della chiesa romana, Bale
raccoglie, setaccia e pubblica ogni sorta di tradizioni locali delle isole
britanniche, santi e miracoli compresi, imbarcandoli allegramente sulla nave
appena varata del protestantesimo inglese. Bale in sostanza ripercorre la storia
del cristianesimo presso i Celti, i Britanni, i Sassoni al fine di stabilire un
canone "autentico", protestante, della santità britannica; lo si percepisce
quando dà voce a sentimenti di invidia verso Roma e verso gli umanisti cattolici
perché hanno accesso ai ricchi archivi del Vaticano, che tengono nascosti ai
veri "fedeli". Il canone dei santi inglesi si estende per Bale fino ad includere
i protestanti che patiscono ai suoi tempi: il martirologio di Anne Askew, fatta
morire sul rogo nel luglio del 1546 e pubblicato separatamente da Bale alla fine
dello stesso anno, prima di essere incluso nel grande repertorio, è un vero e
proprio brano di agiografia, consciamente costruito sul modello delle prime
biografie di santi cristiani. E' presente anche il miracolo, dato che allo
spirare dei martiri il cielo "aborrendo un atto così malvagio" si oscura e
tuona; ma il miracolo più grande è la conversione dei presenti alla vera
fede.
La chiesa d'Inghilterra insomma, non solo nella sua versione
"statuale", ma anche in quella estremistica che darà poi vita al puritanesimo,
si riconnette alla tradizione medievale. A tal proposito, la citazione di Bale è
più eloquente di qualsiasi documento ufficiale, per il vastissimo pubblico che
ebbero i suoi scritti, e per la loro decisiva funzione pedagogica.
Ma nessuno
ha fatto di più, per fondare in Inghilterra una nuova nozione di santità, del
celeberrimo Libro dei Martiri di John Foxe, quasi contemporaneo di Bale.
La regina Elisabetta ordinò che in tutte le chiese parrocchiali una copia del
libro venisse assicurata al pulpito con una catena, com'era l'uso, accanto alla
Bibbia. I martiri di Foxe erano quegli uomini e quelle donne che avevano
sofferto sotto la "cattolica" Maria; ma nel libro queste figure venivano
connesse con la tradizione peculiare della chiesa britannica, in un capolavoro
di nazionalismo letterario. I "miracoli" al plurale venivano sostituiti da un
unico, grande, continuativo miracolo: il trionfo dei "Santi" grazie alla "Regina
di Giustizia", Elisabetta-Astrea. Miracolosa era la prevista "disfatta e rovina
delle forze di Satana", e la santità non veniva confinata ad un ruolo in
Paradiso dopo la morte, ma si allargava ai fedeli viventi. Foxe ha un ruolo
talmente rilevante nella storia della letteratura (e della lingua) inglese, che
non è necessario dire di più, se non che attraverso Bale e Foxe l'insistenza sul
termine e sulla nozione di "santo" diviene, già alla fine del Cinquecento, un
carattere distintivo della fazione puritana.
Evoluzione di una
parola Senza mai dimenticare che i Santi possono esistere come
tali solo come anime, in cielo dopo la morte, predicatori e devoti laici
cominciarono però a gratificarsi reciprocamente dell'appellativo di 'santo',
soprattutto quando parlavano di sé collettivamente come del godly party,
cioè del 'partito di Dio', quello che proclamava la radicale purificazione della
chiesa elisabettiana da ogni residuo di 'papismo'.
Come si poteva
identificare esteriormente un santo puritano? Gli elementi principali erano due:
l'esperienza intima di una conversione fulminante, e una vita impeccabile.
La
conversione di un adulto già battezzato - fenomeno molto comune anche nella
sfera cattolica - costituiva di per sé un miracolo; anzi, nell'etica puritana,
il solo vero miracolo. Generalmente aveva luogo in un periodo della vita in cui
la persona aveva raggiunto la maturità: viveva cioè, in modo sobrio, onesto e
religioso ma freddamente e senza entusiasmo. Improvvisamente, la folgorazione
della grazia: ed ecco che il fedele 'sente' di vivere in modo nuovo e
radicalmente diverso la sua fede. Pensiamo a Pascal. La conversione non si
poteva definire, ma solo descrivere, e la si trova descritta, infatti, in decine
e decine di diari e di carteggi puritani. Si può citare una lettera famosa di
Oliver Cromwell, scritta nel 1638, nel momento di maggiore scoramento dei
puritani, due anni prima della convocazione del Lungo Parlamento. Cromwell era
allora una persona totalmente oscura, e già quarantenne: "La mia era una vita di
peccato e di follia. Vivevo nel Kedar che dicono significhi oscurità…" e cioè
prima dell'avvento della luce intima della grazia.
Per una testimonianza
dell'uso di 'santo' una sola fonte classica è eloquente quanto i cento e cento
esempi che si potrebbero fare. La caviamo dal magnifico incipit del sonetto di
John Milton Sul recente massacro in Piemonte, scritto nel 1653 per
esprimere indignazione contro la sanguinosa repressione dei Valdesi ad opera del
duca di Savoia Carlo Emanuele II:
In questi versi il poeta del Paradiso perduto ci
fornisce anche una definizione: il 'santo' è chi mantiene "pura" la fede. In
altri termini, i Valdesi erano santi ancor prima di esser martiri. C'è qui una
marcata differenza con la concezione cattolica.
Tornando a Oliver Cromwell,
fonte difficilmente eludibile. Inaugurando, il 4 luglio 1653, la prima seduta
del Parlamento repubblicano 'nominato' (cioè: non eletto), Cromwell predicò sul
testo di Hosea 11: "Ed ecco che Giuda regna con Dio, ed è fedele in mezzo ai
suoi Santi". Il suo commento al testo tendeva a riassicurare i membri della
nuova assemblea che essi godevano del sostegno dell'esercito e del partito
puritano: "voi siete ora chiamati ad essere fedeli in mezzo ai Santi, che in
qualche modo sono stati lo strumento della vostra chiamata… preghiamo che il
cielo vi dia saggezza, come pregano oggi molte migliaia di Santi". In parole
povere, 'santi' ha ormai totalmente acquisito il significato di "partito dei
giusti", cioè di un'area politica che si identificava nel regicidio, nella
prosecuzione della guerra ad oltranza contro l'erede al trono, e
nell'accettazione di un governo repubblicano. Un'area nella quale il linguaggio
religioso era diventato quello della politica e in cui le giornate di digiuno
solenne si alternavano alle assemblee politiche.
Quest'area politica andò
erodendosi negli ultimi anni del protettorato cromwelliano, fino a che, spentosi
l'esperimento repubblicano, la lingua non si rovesciò nel suo contrario e la
parola divenne veicolo e oggetto di satira. Alla Restaurazione, Samuel Butler
poteva satireggiare il puritanesimo identificandolo con l'ipocrisia di una
piccola cerchia di fanatici:
![]() |
|
San Benedetto il
Moro |
Santi e patroni di santi Questa complessa evoluzione di
senso ci avverte che - se adottiamo l'ottica dell'antropologia storica - il
fenomeno della santità è definito non dal suo oggetto ma dalla sua immagine
riflessa nella mente dei santi medesimi e del loro pubblico. Nell'Inghilterra
protestante come nella Palermo spagnola e controriformistica, i santi vengono
'creati' con atto sociale: lo rivela proprio il conflitto tra le immagini della
santità, se le compariamo tra loro.
Nel mondo protestante, che non ha una
Congregazione dei Riti, e che non ha definito in termini giuridici il processo
di santificazione, esisterono purtuttavia dei 'santi' acclamati in vita come
tali. Come si poteva, e chi poteva accertare al di là di ogni dubbio la loro
santità? La conversione, abbiamo visto, era un'esperienza intima. Come poteva
assicurarsi il pubblico che alcuni erano 'rigenerati' e altri no?
La risposta
sta nella trasmissione dei valori puritani dopo il 1580 circa. Ed è questa: la
santità è attribuita per autolegittimazione e autoconvalida reciproca tra
pastori e predicatori. Era una specie di cooptazione, non troppo lontana dalle
abitudini della nostra Accademia, entro un gruppo sociale i cui membri erano
noti gli uni agli altri o comunque capaci di giudicare degli studi e della vita
dei loro colleghi.
Prendiamo un solo esempio, un po' tardo. Si tratta di un
epitaffio poetico (1677) che celebra tale Tom Shepard, un "uomo di sostanza" nel
Massachussetts puritano, persona oscura se non fosse stato figlio di uno dei
protagonisti della colonizzazione americana:
Il celebre Richard Baxter, operante nella seconda metà del
Seicento, è la quintessenza dello spirito puritano. Così almeno apparve a Max
Weber che citava la sua Autobiografia per aiutarsi a definire lo "spirito
del capitalismo". Ebbene, verso la fine della sua vita, nel 1688, troviamo
Baxter che scrive: "Con cuore afflitto sono stato chiamato a predicare i sermoni
funebri per molti Santi eccellenti"; e si riferisce ad amici e parenti, che
indubbiamente chiamava 'santi' anche in vita. "…Il mio amico sincero Henry
Ashurst, il Consigliere, comunemente ritenuto il Santo più esemplare di cui si
avesse notizia in questa città…".
Non solo, ma questo esemplare dello
'spirito puritano' crede nei miracoli, e in maniera non del tutto
disinteressata, dato che qualifica miracoloso il fulmine che scoperchia il tetto
della casa di un individuo che aveva detto male di lui: "Vera manifestazione
della vendetta divina!". Le brume del nord 'capitalistico' non sono poi tanto
lontane dal caldo di Napoli che fa sciogliere il sangue dei martiri…
La
'santità' protestante è insomma una qualità auto-attribuita, ad opera di un
clero che controlla se stesso e che a sua volta risponde ai fedeli laici. Nel
mondo cattolico, all'inverso, l'elaborato processo - in forme giuridiche - di
canonizzazione dei santi rinvia ad una competizione apparentemente tanto forte
da rendere necessarie regole certe, autorevoli e rispettate universalmente.
Nell'uno e nell'altro mondo, però, almeno nell'antico regime, il "bisogno di
santità" sembra essere una caratteristica comune del manifestarsi sociale della
fede.
|
Torna in copertina |